Solo una tela sopravvissuta a una ferita può raccontare una donna redenta da una ferita, dipinta da un’altrettanta donna riscattata da una ferita. Questo intreccio di dolore e rinascita si riflette nel ritorno a Napoli della Maddalena in estasi di Artemisia Gentileschi, ora esposta nel Chiostro maiolicato della Clarisse di Santa Chiara. Bello lo storytelling di accoglienza, ma il videomapping sul soffitto poteva raccontare meglio la vicenda drammatica e avvincente della tela, scampata a un bombardamento e restaurato con tanta pazienza.
- L’arte che sopravvive alle ferite
- Il ritorno della Maddalena Sursock a Napoli
- L’allestimento tra testi e proiezioni
- Il potenziale narrativo del videomapping
- Un’occasione mancata per raccontare la storia
La mostra, la cui apertura è stata prolungata, accoglie il visitatore con un pannello di benvenuto che non si limita a informare sull’evento, ma predispone a uno stato d’animo. Il saluto di Dio a san Francesco diventa la chiave di lettura per comprendere il contesto spirituale dell’opera, sintonizzando il pubblico su una dimensione di fede, redenzione e profondità interiore. Un primo gancio narrativo che introduce alla storia della tela e alla figura di Artemisia. Quanto è dolce e umano l’atmosfera costruita solo attraverso il testo. I successivi pannelli esplicativi fanno il resto per spiegare lo stile pittorico, l’iconografia e il confronto con altri soggetti e con la pittura del Seicento napoletano.
Sulle teste dei visitatori si muove invece, ciclicamente, un mare di videoproiezioni: l’esperienza visiva di un videomapping che proietta sulle volte del soffitto mezzibusti di altre donne ritratte dalla pittrice. Tuttavia, proprio qui mi sorge un interrogativo: si sarebbe potuto fare di più? Immaginate di trovarvi immersi nel dramma della Maddalena Sursock, di assistere alla devastazione del palazzo Sursock di Beirut nell’agosto 2020, quando i bombardamenti hanno danneggiato gli arredi ottomani e le opere d’arte, tra cui la stessa Maddalena. Un racconto visivo, magari accompagnato anche da una musica idonea, che ripercorra la sua ferita e il suo ritorno alla luce sarebbe stato un’esperienza ancora più potente. Tutto questo è limitato a un paio di video a monitor in cui Roderick Cochrane, l’ultimo erede della famiglia, cammina affranto tra le macerie della villa.
La Maddalena in estasi di Artemisia Gentileschi è sopravvissuta, è stata restaurata e dopo 400 anni è ritornata a Napoli.
Sarebbe stato un vero dramma nel dramma, un’immersione totale negli ambienti del locus originario, un primo e dopo l’esplosione, uno storytelling di ferita e di cura, di morte e di vita, di oblio e di luce.
Videomapping e digital storytelling utilizzati per le mostre d’arte possono essere strumenti straordinari per restituire al pubblico non solo l’immagine di un’opera, ma la sua storia viva. Come media narrativi visuali ricreano suggestione, drammatizzazione, uniscono il contento dell’arte al potere delle storie, facendo della tecnologia un ponte tra informazione e coinvolgimento emotivo. Perché non sfruttare questo potenziale?
Forse, nel futuro dell’esposizione, un nuovo approccio alla narrazione digitale potrà dare voce non solo alla Maddalena, ma anche al suo dramma. E noi, spettatori, potremo dire di aver vissuto ogni suo momento.