L’archeologia è forse la disciplina che meglio si presta per essere raccontata dallo storytelling. Solo il potere della narrazione è in grado di valorizzare un reperto archeologico andando oltre l’incertezza, la frammentarietà e talvolta la distruzione. Come può accadere tutto ciò?
Indice
- Il potere narrativo dell’archeologia
- Perché lo storytelling è perfetto per l’archeologia?
- Il caso-studio di Pompei: il racconto oltre la morte
- Archeostorytelling digitale: dati e tendenze 2024
- Conclusione
Il potere narrativo dell’archeologia
L’archeologia è frammentaria e l’incompleto intriga e stimola l’immaginazione nel nostro cervello. Si attiva per “sanare” ogni cosa e dare una spiegazione a ciò che non comprende. Per raggiungere questo scopo la mente, che è narrativa per propria natura cerebrale, attiva un vero motore di simulazione di storie.
Perché è in questo stato?
Da dove viene?
Che significato ha?
Come si utilizzava?
Qual è la sua forma completa?
Cosa rappresenta?
Com’era fatto?
Ogni reperto archeologico è come un tassello di un puzzle che ci invita a riflettere su una quotidianità antica che, apparentemente, non ci appartiene più perché ormai troppo diversa dai simboli contemporanei. Ecco perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci spieghi le cose dell’archeologia, che ci accomuni il passato al presente, che ri-costruisca i nodi di connessione a quel filo che ci lega ai nostri antenati e che si è solo rotto. La natura lacunosa dei reperti archeologici, specialmente se comparata all’immediatezza di comprensione richiesta dalle opere d’arte di età moderna (es. una tela o una statua, più complete e più riconoscibili), può accendere invece la curiosità e il desiderio di colmare i vuoti, rendendo l’archeologia un terreno fertile per la narrazione.
Ma ci vuole un racconto di quell’oggetto che possa offrire una ricostruzione anche solo “virtuale” della sua identità e della sua funzione (e con virtuale intendo innanzitutto nella nostra mente). Se manca questo passaggio sopravviene la difficoltà, la frustrazione, la noia e l’abbandono di interesse.
La psicologia e le neuroscienze insegnano che le storie toccano le corde emotive, creando connessioni profonde, e la narratologia, con le sue tecniche, struttura queste storie in modo avvincente. L’archeologia, con i suoi misteri, è il terreno fertile per queste discipline: la loro combinazione ci permette di “vedere” i reperti archeologici come personaggi, gli scavi come scenari di avventure, e il passato come uno spazio-tempo di scene di vita.
Perché lo storytelling è perfetto per l’archeologia?
Il mistero e l’incompiutezza. L’incompleto dunque è più stimolante della certo, e l’archeologia sovrabbonda di frammenti di storie incomplete. Il mistero che avvolge i reperti archeologici, spesso privi di un contesto chiaro, crea proprio un senso di suspense e di scoperta. Il famoso “fascino dell’antico”, “il fascino delle rovine”, “il fascino delle cose vecchie e rotte” sono tutte percezioni reali che confermano quanto l’archeologia sia terreno pronto per una narrazione avvincente.
La connessione con l’umanità. L’archeologia non si limita a studiare oggetti, ma indaga nelle vite delle persone che li hanno realizzati e utilizzati. Ogni reperto è una testimonianza di esperienze umane, di emozioni, di credenze, di necessità, di gusti e di stili. Questa connessione con l’umanità rende le storie archeologiche in realtà molto più universali e coinvolgenti di quanto possa sembrare, permettendo al pubblico di identificarsi con i protagonisti del passato, se c’è un canale efficace che favorisca questo processo, cioè lo storytelling.
La scoperta e l’avventura. L’archeologia è intrinsecamente legata alla scoperta, all’esplorazione, all’avventura. Ogni scavo è un viaggio nel tempo, una sfida in cui imbattersi, un obiettivo da raggiungere, una dimostrazione di competenze, una performance, una possibilità di svelare un mistero. Questa dimensione avventurosa rende le storie archeologiche più dinamiche e appassionanti delle storie di un ritratto del Settecento o di un arredi di età Napoleonica, ad esempio, perché sono capaci di attirare l’attenzione del pubblico e di tenerlo incollato al racconto.
La ricostruzione del passato. Si va ben oltre però il recupero di un’informazione storica o artistica. L’archeologia ricostruisce interi mondi perduti, è in grado di ri-dare vita a civiltà scomparse, di far rivivere epoche lontane. Questa è magia!
Questa capacità di ricostruzione deve essere restituita con le narrazioni, e non con semplici descrizioni o report statistici. La celebrazione di una resurrezione merita una drammatizzazione e un racconto spettacolare, immersivo, coinvolgente, in cui il pubblico possa emozionarsi e sentirsi parte integrante. Come se fosse al cinema.
Il caso-studio di Pompei: il racconto oltre la morte
La città sepolta per volere della Natura e resuscita per volere dell’Uomo è la miglior esperienza di narrazione archeologica che stiamo sperimentando negli ultimi anni. Ogni reperto, ogni strada, ogni casa racconta una storia, rendendo Pompei una serie TV a cielo aperto con stagioni illimitate. Perché?
- Pompei offre un’istantanea di una città antica, ma il suo seppellimento sotto la cenere del Vesuvio lascia ancora molte domande senza risposta. Dubbi, ipotesi, cambi di prospettiva, nuove teorie su cosa successe negli ultimi momenti tengono alta la tensione emotiva del racconto.
- I calchi delle vittime, imprigionati nella cenere, sono storie silenziose che fanno accapponare la pelle. Eppure un (naturale) morboso fascino per la morte alimenta la nostra voglia di andare a vederli da vicino e di esorcizzare quel secondo fatale in cui la vittima esalò l’ultimo respiro.
- Il recupero continuo di oggetti e testimonianza sulla vita quotidiana degli abitanti di Pompei assottiglia il velo di mistero e di fantastico su questa antica città. Stiamo imparando a percepirle come persone comuni, come noi, con le loro case, i loro negozi, i loro oggetti personali, le loro relazioni. Questa vicinanza con il passato addolcisce e umanizza il racconto. Inoltre affreschi, graffiti, epigrafi, scritte ci parlano anche delle passioni, delle paure e delle speranze degli antichi pompeiani: la compassione raggiunge livelli alti e la compassione per la tragica morte ci fa riflettere sulle nostre paure e sulla natura limitata dell’essere umano.
- Possiamo visitare e camminare lungo le strade di una città antica che secoli prima era rimasta dormiente sotto a uno strato incandescente di terreno e di lava antichi. Questa è un’esperienza unica al mondo, un’avventura, un’emozione per ogni visitatore di Pompei: si sfida di nuovo la morte e la furia del vulcano, si può dire “io ci sono”.
- Le ricostruzioni virtuali e le animazioni in 3D permettono di dare forma concreta e quindi vita a questo passato: i tasselli del racconto si stanno unendo, il puzzle si sta lentamente completando sotto ai nostri occhi. L’archeostorytelling digitale di Pompei è la chiave di innesco per entrare nel vivo della sua storia.
(per approfondimenti: consulta il sito web ufficiale della Soprintendenza di Pompei, con informazioni sugli scavi e sulle mostre; Il libro di Mary Beard, Pompei: The Life of a Roman Town)
Archeostorytelling digitale: dati e tendenze 2024
A livello globale, nel 2024 i tour virtuali di siti archeologici hanno visto un incremento del 40% (fonte: UNESCO). In Italia, quasi il 60% dei musei archeologici ha implementato strategie di storytelling digitale (fonte: ISTAT), tra questi il
- con app interattive e installazioni multimediali per arricchire l’esperienza di visita
- con video e animazioni per narrare la storia delle diverse culture rappresentate nelle collezioni
Museo Archeologico Nazionale di Firenze
- con percorsi di visita digitali, con l’utilizzo di tablet e smartphone per approfondire la conoscenza dei reperti
- con app interattive che permettono di esplorare le collezioni in modo personalizzato, con contenuti multimediali e narrazioni coinvolgenti.
Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MArTA)
- con tecnologie di realtà virtuale e aumentata per offrire esperienze immersive e coinvolgenti
- con percorsi di visita tematici, con l’utilizzo di supporti digitali per approfondire la conoscenza dei contesti archeologici.
Sempre nel 2024, l’utilizzo dei podcast archeologici come media narrativo è aumentato del 25% rispetto al 2023, evidenziando un crescente interesse per l’audio storytelling. Questo dato di nicchia rientra nel più significativo aumento degli ascoltatori di podcast in generale, un fenomeno in costante crescita sia a livello globale sia in Italia (come ci dicono lo studio Digital Audio Survey di Ipsos e i rapporti dell’Osservatorio Podcasting Italia). Musei e istituzioni culturali stanno imparando a sfruttare questo trend per divulgare i propri contenuti e raggiungere un pubblico più ampio attraverso puntate di storie sull’archeologia, storie sulla Storia antica, storie suoi luoghi e sui personaggi del passato.
Ti segnalo da ascoltare in particolare:
- Pompei la città viva
- Divina archeologia (un podcast sulle opere del Museo Mann, secondo lo sguardo di Dante)
- Tides of History (podcast, in inglese, sulla Storia mondiale, con episodi dedicati anche all’archeologia)
Per altri titoli, in generale, sul podcast storytelling applicato al racconto dei luoghi storici e della storia dell’arte, consulta il mio elenco di risorse qui.
Conclusione
L’archeologia dell’antico, con la sua natura frammentaria e misteriosa, si presta benissimo a essere raccontata e valorizzata attraverso una strategia di storytelling. La narrazione apre le porte della mente di qualsiasi tipologia di pubblico e nell’era digitale, narrare il passato si sta traducendo nell’opportunità incredibile di renderlo vivo “fisicamente”, di vedere la sua forma quanto più completa, di ammirare la sua bellezza perduta, di comprendere il suo funzionamento. Solo la tecnologia digitale riesce a farlo in modo accessibile e coinvolgente, con un risvolto emozionale oltre che didattico, creando un ponte tra le generazioni.
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Fonti di approfondimento