In questo articolo puoi leggere la mia recensione sulla mostra Gli dèi ritornano. I Bronzi di San Casciano, esposta al Museo archeologico nazionale di Napoli (16 febbraio-30 giugno 2024)
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La scoperta del materiale archeologico ritrovato nel santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di Chiusi a San Casciano è una storia umana, commovente e mistica. In questa recensione voglio focalizzarmi su un aspetto tecnico della mostra e suggerire una miglioria narrativa e sensoriale dei contenuti esposti nelle sale del Museo archeologico nazionale di Napoli.

Questa storia racconta un sito termale in cui sono state rinvenute statue e oggetti devozionali: l’acqua è sempre stato un elemento di salute e di grazia divina, di guarigione e di nuova vita. San Casciano è dunque un luogo «pro salute o pro fortuna». A questa terma giungevano malati, donne o bambini, coppie o singoli, oranti e devoti, guerrieri e togati. Tutti loro credevano nell’acqua che curava, nell’acqua che sanava mente e corpo, con il favore del dio Apollo. È una storia di ex voto e di offerte, una storia antica quanto la fede.

In base a questo storytelling, passeggiando tra le teche, ho percepito la mancanza di qualcosa, e al tempo stesso ne ho desiderato la presenza. Ci sono i protagonisti, ci sono gli oggetti, gli sono le fonti e i testi (alcuni informativi, altri più letterari), e, come spesso accade nelle mostre di archeologia, manca un elemento e un senso a completare la costruzione dell’atmosfera totale: il suono.

Il suono nell’allestimento museale, che sia ricreato sulla base di fonti e ricerche scientifiche, estratto dai reperti o da fonti storiche coeve, o ricreato di fantasia o teatralizzato con voci di attori, permette di immergersi meglio nella suggestione di ciò che è accaduto in quelle azioni del passato, di sentirsi parte di un’intenzione, di un sentimento. Nella mostra dedicata ai bronzi di San Casciano si sarebbe potuto inserire il suono delle preghiere degli oranti, delle litanie dei devoti, e il rumore dell’acqua, i lamenti di un malato cronico, le voci delle folle, il tintinnio degli oggetti sacri. La voce è narrazione, il suono è narrazione.

La sala anticamera di introduzione alla mostra è l’unica in cui si possa “ascoltare”. Il video documentario girato in occasione del ritrovamento con le interviste ai curatori e agli archeologici offre una suggestione in questo senso, e trasmette le emozioni della sorpresa della scoperta e della soddisfazione degli esperti. Questa magia sfuma nel momento in cui passa alla sala successiva dove sono esposti i reperti. Si sarebbe potuto mantenere un sottofondo mistico per dare anima e voce a questi splendidi oggetti eterni e vivi.

Cosa ne pensi? Quanto è importante l’elemento sonoro in un allestimento museale?