Eduard Monet fa rifiorire la collina di San Potito con la digital experience a cura di Exhibition Hub.
San Potito e l’Infrascata saranno state ricoperte di altri tipi infiorescenze e di arbusti, eppure il tripudio della natura di Eduard Monet riprodotta con il videomapping e la digital animation, mi ha portato alla memoria il bosco della Costigliola che ricopriva la dorsale collinare tra Vomero e Salvator Rosa. La chiesa di San Potito affaccia sul caotico vallone di via Foria e via Pessina ormai riempito da asfalto, strade, automobili, palazzi e viavai quotidiano.
È questo il primo magico effetto della videoarte: trasformare un tempio barocco in un garden giapponese, o in una stazione ferroviaria, o in un campo di papaveri o in vallata innevata. Questa chiesa è un luogo della memoria storica di Napoli e al suo interno l’Experience di Monet dà vita ai luoghi della memoria del pittore francese, innescando un terzo circuito di memorie, quelle dei luoghi fisici dell’arte di Monet, tra musei, gallerie espositive e Casa dell’Artista.
Siamo tutti seduti su una sdraio, assistiamo a uno spettacolo, sì, come al cinema. L’invaso della navata è vuoto, allestito per una celebrazione altrettanto sacra. La quota di storytelling c’è (anche se non si può parlare proprio di storytelling strutturato) perché la narrazione delle opere è affidata direttamente alla voce del protagonista, del pittore, che spiega la letteratura della propria arte. Il pubblico fotografa e filma, tutti oggi vogliamo catturare la meraviglia immateriale digitale. Il format delle digital exhibition rompe gli schemi: gli spazi di cultura si trasformano, l’arte può essere “camminata, “ascoltata”, “interagita”, la conoscenza stessa passa attraverso un coinvolgimento emozionale e sensoriale.
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Con l’animazione digitale i quadri perdono la cornice, si fondono tra loro e con le architetture ospitanti. Il videomapping li distende sulle superfici ospitanti. La fruizione delle opere d’arte è nuova, i soggetti delle tele si aprono e si mostrano, diventano luoghi vivi, oggetti, figure, piante, foglie, atmosfere climatiche, tutto si può muovere. Lo spettatore può vivere in qualche modo lo scenario che Monet aveva visto con i propri occhi; la voce narrante riempie la navata quasi al punto che immagino sia da qualche parte in una cabina di regia, nascosto, davanti a un microfono, mentre ci osserva da un vetro scuro.
CRITICITÀ. Come progettista del design narrativo segnalo solo due critiche da migliorare: la performance del videomapping non è perfetto, sarebbe stato necessario scurire ancora di più l’ambiente, eliminare le trasparenze dei pannelli usati per ricoprire la navata quando lasciano intravedere i decori delle architetture. Non sono rimasto entusiasta neanche della qualità grafica con cui sono stati ricostruiti i quadri per l’esperienza (l’unica davvero immersiva) con i visori VR.
Come in molti di questi format, lo storytelling è frammentato nel percorso dell’experience, non ha una struttura distesa e cucita per collegare i vari momenti della mostra. Si concentra nel set del videomapping o nel prodotto in VR per accompagnare il viaggio immersivo.
STRAORDINARIETÀ. Fisico e digitale. Questa experience ha valorizzato i locali e gli ambienti della chiesa, usandoli come spazi per ricostruire altrettanti ambienti reali che rimandano alla pittura o alla vita dell’artista francese. Nell’atrio della chiesa è stato riprodotto Lo stagno delle ninfee (1899 Musée d’Orsay, Parigi) con pannelli, scenografie, ponticello e fiori rampicanti finti (solo i peschi del laghetto sono ricostruiti in un film digitale). In una mostra multimediale digitale, il primo contatto con il contenuto inizia in un ambiente reale, e questo ci fa capire che la strategia di un progetto di storytelling culturale non deve per forza adottare tecnologie virtuali o aumentate, perché la stimolazione dei sensi e il coinvolgimento emotiva nell’arte si può ottenere anche con tecniche tradizionali.
Nel corridoio che porta dietro all’altare maggiore, sono stati esposte fedeli riproduzioni di alcune tele di Monet imitando l’arredamento e la disposizione del suo studio nella casa privata. È una pausa dall’esperienze digitale che riporta i sensi alla fisicità e si appoggia agli ambienti ospitanti, offrendo una semplice suggestione anche senza nuove tecnologie. L’ultima stazione esperienziale è il desk per colorare disegni delle opere di Monet e poi trasformale in formati digitali da postare sui proprio account sociali con l’hashtag dedicato. Sono processi phygital che mettono al centro l’esperienza dello spettatore e la possibilità di produrre un contributo creativo.
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E le experience per Napoli?
1. io approvo la diffusione di questi format, soprattutto se ospitati in luoghi storici e culturali della città, perché ispirano designer e digital storyteller a realizzare progetti simili per valorizzare le storie locali;
2. tuttavia, perché non si pensa a un cine-storytelling dedicato proprio in una chiesa o in un palazzo storico cittadino? Queste experience viaggiano in tutto il mondo per far conoscere i nomi dei Big dell’Arte; eppure, luoghi come la chiesa di San Potito potrebbero raccontare con un proprio progetto di storytelling digitale, con una installazione permanente, le storie del quartiere, delle trasformazioni urbane, dei personaggi e degli eventi storici di Napoli (e ce ne sono!). Chiuse vuote o prive di una nuova funzione culturale si presterebbe come perfetti contenitori narranti.
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